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Attenzione ai conigli bianchi

Tradotto da Valentina Bruni, Bianca Regini e Gaia Berlese della classe 4DL de Liceo D.Alighieri di Ravenna


Non viene. Non vuole venire. Non viene niente. Che si sieda alla scrivania, al caffè del villaggio o in giardino, ovunque la segue il peso di queste storie senza inizio né fine. Immagini, scene, scenette. Un mare di parole che minacciano di sommergerla, ma che scivolano tra le sue dita come l'acqua di un colino ogni volta che cerca di afferrarle. Le pagine si coprono di inchiostro inutile che non porta a nulla. Non sono nemmeno più bianche. Solo inutili, inutilizzabili ed estenuanti.

Alice si vede mentre insegue un mitico coniglio bianco e cade senza fine in una tana senza fondo. I rami a cui si aggrappa non hanno radici. Le sporgenze dove si posano i suoi piedi si sbriciolano e scompaiono. Una melodia senza parole è portata dal vento che la fa girare senza riposo.

- Se solo potessi imparare a volare o a schiantarmi una volta per tutte! sospira a ogni nuova turbolenza.

Ma la caduta prosegue e il valzer continua senza pietà.

Alice non è la sola prigioniera della caccia al coniglio bianco. Uomini, bambini e ombre si stanno facendo strada intorno a lei. Non sa se sono caduti nella tana prima o dopo di lei. Volontariamente, inconsciamente o ingenuamente. Alcuni urlano, cantano o piangono. Altri rimangono muti, abbattuti. Alice li vede e li sente, ma ognuno rimane solo, e il suo coniglio bianco le sfugge ancora e sempre.

- Prendimi! Prendimi, Alice! Fischietta birichino e crudele.

- Ti avrò! Sbotta la fanciulla, ripartendo con i capelli al vento, in picchiata verso il fondo di quella tana che sembrava non dovesse mai arrivare.

Più sprofonda, più la folla si stringe. Ci sono vecchie e malinconiche che la guardano passare, indifferenti. Altri le lanciano sorrisi tristi, come per scusarsi di non poter fare nulla per lei. Ad un certo punto una donna urla:

- Fermati! Ha qualcosa di familiare. Alice pensa a sua madre, sua sorella o alla vicina incrociata il giorno prima sul pianerottolo. Tutto svanisce troppo in fretta. Il vento copre l'urlo.

Alice continua la sua caduta. Non è un impatto letale con il terreno che finalmente la ferma, ma una superficie strana, morbida e irregolare. Il momento prima, aveva la testa in giù e credeva di aver visto con la coda dell’occhio un coniglio saltare. Quello dopo, si immobilizza in un nodo di gambe sorprese. Il vento che ulula alle sue orecchie continua ad attirarla verso il basso, ma una barriera le impedisce di affondare. Le farfalle, aggrovigliate ai suoi capelli, cominciano a litigare sempre di più. Ma la caduta si è fermata. Alice tasta con un dito, con una mano, poi con due il pavimento strano che l'ha accolta. Un grido si forma nella sua gola annodata:

- Cadaveri! Centinaia di cadaveri!

Sotto il sedere, le gambe e nella schiena, una diga di corpi blocca la tana. Identiche alle decine che ha incrociato nella caduta, ma intrecciate in una massa solida e viscida. Qua e là, tra teste e arti sparsi, occhi brillanti e denti affilati, dei conigli bianchi fanno baldoria, tutta l'innocenza perduta. Alice stringe convulsamente una mano, pizzicando una spalla vestita di seta blu notte.

- Ahi! Geme una bocca scarlatta non lontano da lì.

Alice sussulta e guarda con occhio stupito la massa di carne che aveva scambiato per dei cadaveri. Si era sbagliata. Nessuno dei corpi è realmente morto. Immobile, impotente e impassibile, certo. Ma vivo. Gli occhi, le bocche e i petti fremono con un respiro lento e rassegnato.

- Chi sei? chiede Alice alla faccia a cui appartengono le labbra truccate.

- Sono la donna che esce dall’Opera. Quella che hai sognato una sera di ottobre, solo un anno fa.

E Alice si ricorda. Il vestito scintillante, le scarpe smaltate e la donna profumata che scendeva graziosamente i gradini della grande scala illuminata da un lampadario barocco.

- Che ci fai qui? non può fare a meno di chiedere.

- Niente, risponde la donna. Sono qui, è tutto..

- Ma come sei arrivata?

- È qui che arriviamo tutti.

Lei non sembra capire la domanda. Le sue sopracciglia finemente depilate si aggrottano e le fanno sembrare una bambina imbronciata.

- In che senso «tutti»? insiste Alice.

I suoi occhi che scrutano i corpi ammucchiati credono di riconoscere un naso con la gobba, un ventre che trabocca da una cintura consumata e una moltitudine di gatti addormentati. Improvvisamente ha paura di capire. Vuole rialzarsi per fuggire, ma riesce solo a inciampare. La bocca dipinta ha ricominciato a parlare, ma Alice si rifiuta di ascoltarla. Ha notato, a pochi metri sulla sua sinistra, il bambino arruffato che aveva immaginato in una sera di solitudine. Indossa il cappotto rattoppato con cui lo aveva vestito e il suo sguardo, smarrito e triste, non aspetta più nessuno. Poco più avanti, Alice riconosce il cane rosso che aveva cercato di salvare il suo padrone dall'incendio della sua capanna. Non aveva potuto fare nulla contro le fiamme. Il suo tartufo secco ora giace sulle sue zampe immobili. Sul suo pelo ruvido, la polvere di decine di grandi esplosioni forma una crosta fangosa e verdastra.

- Sono io che vi ho mandato qui, sussurra Alice, inorridita. Io che vi ho dato la vita, ho giocato con voi, e poi vi ho mandato in fondo a questo buco!

Centinaia di pupille la fissano in silenzio, risolute a questa evidenza. Alice chiude gli occhi per non doverli affrontare di nuovo. Per molto tempo, blocca i suoi pensieri e le voci che le parlano alle orecchie. Scaccia le farfalle dai suoi capelli e non osa più immaginare la minima frase, il minimo volto, per paura di vedere la montagna in fondo alla sua testa ingrandirsi. Poi, lentamente, senza aprire le palpebre, sussurra:

- E i conigli bianchi?

Una voce, questa volta maschile, le risponde:

- Ci mangiano, ci sgranocchiano, fanno in modo di fare spazio per i nuovi arrivati.

- Perché mi prendono in giro?

- Non ti prendono in giro. Ti avvertono. Se non ti prendi cura di noi, lo faranno loro.

- Mangiandovi?

- Non c'è abbastanza spazio per tutti, Alice. Ci crei più velocemente di quanto la tua memoria possa sopportare. Allora i suoi agenti si occupano di cancellarci.

- La mia memoria ha agenti a forma di conigli bianchi?

- Hai sempre avuto immaginazione, Alice...

C'era come un sorriso tenero in quest'ultima risposta. Alice capisce che l'uomo non ce l’ha con lei. È un po' triste morire quando ha vissuto così poco. Avrebbe sicuramente voluto che lei gli inventasse mille e una avventura. Che lo avesse fatto volare a cavallo di un drago o innamorare. Ma Alice non lo riconosce più. Lo ha dimenticato. I conigli finiscono di rosicchiare il suo cappello di feltro verde.

Quando apre di nuovo gli occhi, Alice si sente più calma. Il vento è calato e i suoi pensieri, calmati, le lasciano il tempo di riprendersi. Nota allora che i bordi della tana non sono né lisci, né friabili come credeva. Colpendo dall'alto verso il basso le pareti di questo strano abisso, dell'edera e delle piante rampicanti attecchiscono da qualche parte sotto i corpi accatastati. Le foglie e gli steli intrecciati formano una solida liana che si perde nelle alture. Alice decide di usarla per risalire. Getta un ultimo sguardo ai volti e ai vestiti ammucchiati sotto i suoi piedi. Prima di iniziare ad arrampicarsi, lancia loro un'ultima promessa:

- Quando sarò uscita, verrò a prendervi tutti! Vi farò vivere con la mia penna, e conoscerete le meravigliose vite che inventerò per voi! Io, Alice, la vostra creatrice, non vi permetterò di cancellarvi nell'oblio!

Salendo gradino per gradino le piante perenni, Alice ci crede fermamente. Nella sua testa nascono e volano via storie nuove. Le sue dita formicolano. Il vento ha ricominciato a soffiare e le farfalle a volteggiare. Ma dietro la sua schiena, in fondo alla tana, i conigli bianchi sorridono mostrando i loro piccoli denti affilati.

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