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Lettera d’Amore

Tradotto da Angelica Lupi e Margherita Rametta della classe 4DL del Liceo D. Alighieri di Ravenna


Amore mio,

questa lettera ti farà ridere, ci farà ridere, se un giorno la leggerai. Io che odio le parole che straripano così frequentemente dalle bocche e dai libri, delle onde che schiamazzano, degli battibecchi, delle prediche e dei giuramenti, ecco che ti rivolgo queste parole che rimbombano nel vuoto. Un’altra contraddizione. Ormai cosa importa. Una contrazione delle dita e del cervello per lottare contro l’indolenzimento.

Ho colmato il buco sotto la porta dopo la tua partenza, come me l’avevi chiesto. Questo non cambia molto. Bisognerebbe anche occuparsi delle finestre e dei listelli disgiunti che fungono da soffitto. Il vento tesse una tela gelata nel rifugio, come se soffiasse contemporaneamente da tutte le parti. Come una mosca che si dibatte, mi trascino da una parte all’altra della stanza. Trovare un angolo riparato. Un varco dove poter scivolare. Scappare dal freddo pungente. È una fatica sprecata. Allora ti scrivo per cercare di rimanere sveglia. Aspettare il tuo rientro. Verrai? Non credo, ma non c’è altro da fare.

Il cadavere da tempo raffreddato. È diventato blu, color porcellana. Credo che se l’avessi picchiato, si sarebbe frantumato in mille pezzi. Il sangue si è asciugato da tanto. È triste il sangue gelato, ma fa meno paura. Sembra meno reale. Hai veramente ucciso quest’uomo alcune ore fa? O è un sogno? Se giro la testa non lo vedo più e lo dimentico. Non esiste più. Ha già perso il suo posto tra le cianfrusaglie sul pavimento: legno, tappeti cadaveri. Morti, freddi, duri. Inutili.

A cosa pensavo questa mattina? Perché averti seguito nel rifugio? Ero consapevole che la sfortuna ci aspettava. In ogni caso mi aspettava. Tu te ne sei andato: per cercare una soluzione. Ma il vento si è alzato e il freddo l’ha seguito. Il rifugio non è proprio un rifugio, è una trappola. L’uomo ci aspettava. Sapeva che noi ci saremmo cascati in pieno. Abbiamo avuto paura. Tu l’hai colpito. Un po' troppo forte. Volevi ucciderlo? Non l’hai negato quando ti ho urlato in faccia.

È da ore che te ne sei andata via. È la tua vigliaccheria o il freddo mortale che ti impedisce di tornare? Non oso guardare dalla finestra, per paura di vederti trasformato in statua di ghiaccio davanti a me. Da queste parti il freddo non perdona. Lo sai. E per questo che sei voluto partire. Lontano da queste terre desolate. Da questo triste borgo e da questa gente cocciuta. E hai voluto che io ti seguissi. E ti ho seguito. Anche se sapevo che ci avrebbero ucciso se ci avessero preso. Non si abbandona la vallata. Mai.

Fa tanto freddo e il vento stringe la sua tela. Le mie dita non riescono più a mollare la penna. Sono irrigidite. Il braccio, le mie gambe e pure il respiro. Amore mio, tu non leggerai mai questa lettera, lo so, e poco importa. Avremmo provato. Morirei con la penna in mano mentre nel mio cuore il fuoco eterno che ci eravamo promessi si spegne. Questo sarà stato solo un fuoco di paglia.

Il sacrificio non è bastato. La Guardiana l’ha apprezzato, credo. Ti ricordi il rumore di lacerazione che ha fatto l’uomo? Noi non abbiamo neanche avuto tempo di urlare. Un movimento furtivo. Un corpo che si smembra. Del sangue, molto sangue. Poi il silenzio. La custode non è salita. Non ha neanche fermato la tempesta. Quindi avremmo dovuto rinunciare. Lo sai che nessuno non è mai scappato da qui. L’unica cosa che possiamo fare, è nutrire il fuoco della sala grande, per non farlo mai spegnere. Pregare. Danzare. Venerare. La custode si occupa del resto. Carceraria e protettrice. Le siamo debitore.

Perché sei voluto fuggire? Conoscere il senso delle parole sole, terra e acqua? Fuggire dal ghiaccio e al vento? Perché? Noi eravamo insieme. Tutti insieme. Una comunità felice, salda e ignorante. Avremmo potuto invecchiare tu e io semplicemente. Ma tu sei voluto partire. E io ti ho seguito come sempre.

Siamo usciti dalla grande sala per attraversare corridoi e delle camere vuote, scricchiolanti di cristalli gelati. Lontano dal fuoco sacro, è un altro splendore che scopriamo. Quello del ghiaccio e della luce bianca che riflette. Ho voluto indietreggiare. Ritrovare la propria casa. Tu hai detto no. E io ti ho ascoltato. Ero dotata per questo : ascoltarti, seguirti, ovunque. Ahimè.

Superando la soglia della porta, davanti alla distesa immacolata che si offriva, anche tu hai dubitato. Ma la tua fierezza ha preso il sopravvento. Un passo, due, tre. Una ventina per raggiungere il rifugio. l’ultima costruzione prima dell'infinito. I tuoi piedi sprofondavano pure nella neve, a causa del peso de Jorg sulle tue spalle. L’avevi scelto perché era piccolo, appena un uomo. Però, pesava molto, inerte sulla tua schiena. Non ho voluto pensarci, ho ignorato il sangue che segnava la strada dietro di noi.

Hai aperto la porta del rifugio tutto ad un tratto con un piede sicuro. Hai gettato Jorg sul pavimento, dietro di te e lui ha sollevato una nuvola polverosa cadendo. Ci siamo precipitati all’interno, pensando di lasciare la morte e il freddo fuori. Ma l’uomo ci aspettava e la morte si è presentata tra le mura fragili. La custode non ha tardato a ricordarsi di noi facendo a pezzi Jorg. Abbiamo avuto paura che continuasse con il secondo cadavere, e poi con i nostri corpi ancora tremanti. Ma non è rimasta. Presto, è rimasto solo il canto delle raffiche di vento e il silenzio tombale sotto.

Pensavi che questo sacrificio ci avrebbe dato un po’ di tregua. Non ha funzionato, ma non hai comunque rinunciato. Hai detto che saresti partito in avanscoperta e che saresti tornato a prendermi. Non sei ancora tornato. Non posso fare altro che aspettare. La custode non mi lascerà mai tornare a casa. Per la comunità siamo già morti. Per me sei già morto. E io non ho tanto da aspettare. Io…

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